Yekatit 12 a Roma
Ottantaseiesimo anniversario del massacro di Addis Abeba con una passeggiata in giro per Roma a reinterpretare alcuni luoghi simbolo
Il 19 febbraio, Yekatit 12 nel calendario etiope, è la data dell’attentato a Graziani e della strage di Addis Abeba. In Etiopia è il Giorno dei Martiri, una ricorrenza di importanza nazionale. Migliaia di persone si radunano in Piazza Yekatit 12 ad Addis Abeba, intorno all’obelisco dedicato alle vittime.
Nel 2023 il Comune di Roma ha istituito il 19 febbraio come Giornata della Memoria per le vittime del colonialismo italiano; l’associazionismo romano ha organizzato iniziative per tutta la settimana. Io ho partecipato all’evento di domenica, una passeggiata commemorativa coordinata dall’architetto Lorenzo Romito con attivisti, intellettuali, artisti, membri della comunità etiope.
Siamo partiti dal Palazzo delle Esposizioni, che in questo periodo propone la mostra su Pasolini Tutto è santo - il corpo poetico. È un luogo simbolo perché nel 1931 ospita la prima (e unica) esposizione di “arte coloniale” in Italia, inaugurata da Mussolini in persona.
Sulle scale di fronte all’ingresso si sono susseguiti alcuni interventi.
Giovanna Trento e Giuseppe Garrera, curatori della mostra su Pasolini, hanno parlato della visione del regista su razzismo, colonialismo e panmeridionalismo, concetto con cui egli unisce gli oppressi del sud del mondo: dai cittadini delle borgate romane fino all’Africa.
L’attivista italo-etiope Carmelo Giordano ha raccontato che la madre tredicenne è stata testimone diretta del massacro di Addis Abeba; ha espresso la necessità di tenere insieme perdono e consapevolezza (“forgive but not forget”), elogiando l’insegnamento dell’imperatore Haile Selassie che al momento della Liberazione, il 5 maggio 1941, ha chiesto al suo popolo di non compiere alcuna vendetta sugli italiani.
Un esponente dell’ANPI ha parlato del carattere predatorio dell’azione italiana nel Corno d’Africa, mettendo in luce la figura di Enrico Cerulli, perfetto rappresentante del continuum coloniale: sebbene gli etiopi ne chiedessero la condanna per crimini di guerra, ha potuto continuare tranquillamente la sua carriera ottenendo svariati riconoscimenti fino alla morte negli anni ottanta.
Camminando verso il secondo punto del percorso, Carmelo Giordano mi ha spiegato che in Etiopia lo Yekatit 12 è il giorno di San Michele e dalla strage di Addis Abeba alcuni usano l’espressione “San Michele del badile”, in riferimento al fatto che gli italiani uccidevano le persone per strada (anche) a colpi di badile.
La seconda tappa si è svolta in Via XX Settembre 43, dove c’è una targa intitolata al tenente Alfredo De Luca.
Qui il collettivo Arbegnuoc Urban di Reggio Emilia ha messo in scena un dialogo per drammatizzare alcune contraddizioni che emergono leggendo la placca.
De Luca viene ucciso il 13 Agosto 1936 (“il suo supremo sacrificio"), ma la guerra d’Etiopia termina ufficialmente agli inizi di maggio, tre mesi prima. Com’è possibile? La spiegazione è che, a differenza della retorica dell’epoca, gli occupanti non hanno nessun controllo del territorio, i guerriglieri locali continuano a combattere, infliggono perdite all’invasore.
Se pensiamo alla “Medaglia d’Oro” ci vengono in mente azioni coraggiose ed onorevoli. In realtà, i piloti come De Luca devastano il paese utilizzando gas terrificanti, le bombe C500T all’iprite. Attaccano persino gli accampamenti della International Red Cross, da cui la famosa espressione “sparare sulla Croce Rossa” massimo emblema di vigliaccheria.
Il concetto di “eroico ardimento” fa pensare ad un’impresa valorosa contro ogni probabilità di salvezza. Al contrario, gli italiani invadono “i cieli d’Etiopia” con circa trecentocinquanta aerei, mentre quelli degli avversari si contano sulle dita di una mano. De Luca compie le sue scorrerie in una posizione di dominio assoluto.
Il terzo luogo in cui ci siamo fermati è Piazza Indipendenza.
Di fronte al Palazzo dei Marescialli, il gruppo RAM Restauro Arte e Memoria di Milano ha parlato dell’evoluzione dell’architettura fascista. Il regime comincia con un approccio razionale e funzionale (quello che si è imposto nell’immaginario comune). Ma dopo la conquista dell’Etiopia, con la nascita del sedicente Impero, il duce imprime una svolta classicista per richiamare la Roma antica. Gli architetti devono utilizzare archi, colonne, decorazioni. Il Palazzo dei Marescialli è un esempio in questa direzione, con una serie di sculture di Mussolini che fuoriescono dalle pareti.
Ci sono state testimonianze molto forti sullo sgombero del 2017 dei rifugiati eritrei dall’edificio di Via Indipendenza. Il contrasto tra le nostre responsabilità storiche nei confronti dei paesi che abbiamo invaso ed il trattamento riservato ai loro cittadini che cercano rifugio in Italia (in Eritrea c’è una dittatura feroce) è emerso in tutta la sua violenza.
Una performance del collettivo Ati-Suffix ha spiegato che l’Italia ha introdotto la prima accisa sulla benzina proprio per finanziare la guerra in Etiopia, invitando a considerarla un riferimento per calcolare possibili risarcimenti da offrire a etiopi ed eritrei, magari cominciando da quelli che affrontano la crisi abitativa in Italia.
La giornata si è conclusa in Piazza dei Cinquecento sotto all’obelisco di Dogali, dedicato ai caduti italiani nella prima invasione del 1887.
Wu Ming 2 ha narrato la storia di Zerai Deres, un interprete chiamato dal governo italiano nel 1937 per fare da mediatore con i Ras deportati in Italia in seguito all’attentato a Graziani. Un giorno Zerai Deres va a prendere il treno, deve tornare a casa. Passa davanti al monumento che all’epoca includeva la statua del Leone di Giuda trafugata dagli italiani (oggi riportata ad Addis Abeba). Ha un moto di rabbia e grida: “abbasso il Duce, abbasso l’Italia, abbasso il Re”. Queste espressioni sono considerate vilipendio (le ultime due tuttora, con il Presidente della Repubblica al posto del Re). Per questo è arrestato e poi condannato all’internamento, una fine tipica degli oppositori del fascismo. Zerai cerca in ogni modo di convincere le autorità che è perfettamente sano di mente, anche il fratello si batte per farlo uscire, ma non c’è nulla da fare. Muore in un manicomio siciliano nel 1945, nonostante la regione fosse liberata dal 1943.
Lo storico Alessandro Triulzi ha cercato di rendere l’enormità della mitologia di Dogali che nasce da una narrazione confusa e poco attendibile di un sopravvissuto alla battaglia. Questo soldato riesce ad arrivare ad un accampamento amico, racconta che nonostante la sconfitta le truppe italiane hanno fatto il preṡentat’arm. Questo gesto fa assurgere allo status di eroi i cinquecento caduti (in realtà, circa quattrocento). In loro onore, si erige l’obelisco nella posizione più prestigiosa: davanti alla stazione dei treni della capitale (poi spostato, oggi si trova a circa cinquecento metri da Termini). L’emozione collettiva è tale che per la prima volta il Vaticano acconsente a truppe e bandiere italiane di entrare nelle chiese, una sorta di riconciliazione tra Stato e Chiesa dopo la Presa di Porta Pia del 1870. Triulzi spiega che la sconfitta di Adua del 1896, invece, con ben settemila morti italiani, ha un impatto completamente diverso. È una vergogna nazionale, non se ne parla, non ci sono commemorazioni né monumenti. Cambia tutto con l’invasione dell’Etiopia: “vendicare Adua” diventa uno dei temi principali della propaganda di regime.
L’obelisco di Roma è di segno diametralmente opposto rispetto a quello di Addis Abeba. Non rende onore alle vittime di un’aggressione ingiusta e insensata, bensì a coloro che la iniziarono a fine ottocento. Come gesto riparatorio, per creare una sorta di comunanza con la collettività etiope, un gruppo ha deposto alla base una targa in marmo che cambia il nome di Piazza dei Cinquecento in Piazza delle Cinquecentomila vittime del colonialismo italiano.
Questo tipo di giornate sono preziose per lo sviluppo del mio fumetto. Mi consentono di affrontare il soggetto confrontandomi con persone più preparate di me, coinvolte a livello umano, capaci di attualizzare il tema nella nostra vita quotidiana. Mi danno spunti, idee, informazioni che assimilo, rielaboro e poi uso nelle mie tavole; piccoli dettagli che cambiano un balloon o una vignetta, aggiungendo spessore e significato alla storia.
P.S: È uscita una pubblicazione dell’Università di Pisa: “REPOSITORIES. Per un contro-archivio della colonialità tra storia, arti e visualità”. Include un mio intervento in cui parlo del lavoro che sto facendo, potete scaricarla a questo link.