Un posto al sole
L'invasione in Etiopia, una storia di rilievo enorme, ma semisconosciuta e (finora) priva di impatto popolare
Cito a memoria Umberto Eco, le nostre conoscenze non si basano tanto sullo studio dei saggi quanto sulla cultura popolare: cinema, televisione, fumetto, e cosƬ via. Per fare un esempio, credo di non avere mai letto un libro di storia sulla guerra del Vietnam, eppure ho unāidea di quello che ĆØ avvenuto attraverso film come Il Cacciatore, Apocalypse Now, Platoon, libri come Il Simpatizzante, o fotografie come quella della bambina colpita dal napalm.
Se questo presupposto ĆØ vero, allora ĆØ facile immaginare che lāinvasione dellāEtiopia sia un tema perlopiĆ¹ sconosciuto.
Purtroppo, non cāĆØ stato nessun Francis Ford Coppola a scolpire nel nostro immaginario la figura di un colonnello italiano che ama lāodore dellāiprite al mattino e guida i suoi uomini a bombardare i tucul di un villaggio etiope con la cavalcata delle Valchirie in sottofondo.
CosƬ come per Guernica, nessun Picasso si ĆØ mai ispirato alla devastazione di Harar, allāepoca cittĆ aperta, da molti considerata la quarta localitĆ santa dellāIslam. Per inciso, gli orrori di entrambi gli eventi sono stati rivelati dallo stesso corrispondente, George Steer, a un solo anno di distanza.
Io per primo sapevo poco o nulla della conquista dellāEtiopia prima di lavorare a Yekatit 12. Tuttavia, si tratta di una lacuna particolarmente grave se si pensa che gli storici la considerano la piĆ¹ imponente campagna coloniale contemporanea, uno scontro con impatti globali superiori a quelli della Grande Guerra, nonchĆ© probabilmente la miccia che fa esplodere il secondo conflitto mondiale. Ć una storia che dobbiamo conoscere.
Il Duce ha in mente di conquistare lāEtiopia giĆ a metĆ degli anni venti. I motivi di questa idea sono principalmente due. Il primo ĆØ dare terreni da coltivare alle masse di braccianti, disoccupati, contadini che fanno fatica a sopravvivere. La terra al popolo ĆØ una delle promesse tradite della prima guerra mondiale che il fascismo, con piglio rivoluzionario, promette di riscattare. Poi perĆ², una volta arrivati al potere, i fascisti si rivelano uno strumento di conservazione dellāordine costituito e di tutela degli interessi padronali. Allora, lāunico modo di assegnare delle terre ĆØ quello di prenderne di nuove, conquistandole con la forza.
Il secondo motivo ĆØ costruire lāimpero, fattore decisivo per il consenso del regime. La visione di Mussolini prevede unāItalia allāaltezza della gloria di Roma, destinata a dominare il mondo. Pretende un āposto al soleā insieme alle altre potenze europee, per sanare la āvittoria mutilataā dagli accordi di pace di Versailles del 1919, dove gli alleati ci hanno concesso āscarse briciole del ricco bottino colonialeā.
Non ĆØ soltanto un esercito che tende verso i suoi obiettivi, ma ĆØ un popolo intero di quarantaquattro milioni di anime, contro il quale si tenta di consumare la piĆ¹ nera delle ingiustizie: quella di toglierci un poā di posto al soleā. - Musssolini
Le colonie che lāItalia giĆ possiede sono inadeguate per questi scopi. LāEritrea ĆØ piccola, la Libia āuno scatolone di sabbiaā, la Somalia condivisa con gli Inglesi. Si identifica come nuovo obiettivo lāEtiopia, una regione importante, fertile, e soprattutto lāultima rimasta disponibile (insieme alla Liberia) nella corsa alla spartizione dellāAfrica, un fenomeno che comincia a fine ottocento e che ĆØ terminato giĆ da un pezzo.
In questo quadro, lāEtiopia ĆØ lāunico grande paese africano che ĆØ riuscita a rimanere indipendente, membro a pieno titolo della SocietĆ delle Nazioni (lāequivalente dellāONU dellāepoca). Per ottenere unāadesione di massa al progetto, il regime parla di missione civilizzatrice nei confronti di un luogo barbaro e selvaggio. La veritĆ ĆØ diversa, lontana dalla propaganda. Con tutti i suoi limiti, lāimperatore Haile Selassie ĆØ impegnato in politiche di modernizzazione per mantenere la pluralitĆ etnica e religiosa, eliminare il commercio degli schiavi, contribuire positivamente al diritto internazionale, creare una classe dirigente evoluta finanziando borse di studio in patria e allāestero. Ć il simbolo di un movimento, lāetiopismo, che sostiene la dignitĆ degli africani, afflitti dalla piaga della schiavitĆ¹, e il loro diritto allāautogoverno. Dalla Giamaica si diffonde addirittura il culto del rastafarianesimo (dal nome Ras Tafari di Haile Selassie prima dellāincoronazione) che venera lāimperatore etiope come una specie di divinitĆ .
Il prestigio dellāEtiopia ĆØ tale che si scatenano mobilitazioni in suo sostegno in tutto il mondo: in Palestina, Siria, Libano, Yemen, negli ambienti dellāemigrazione algerina delle cittĆ francesi, nellāAfrica sub sahariana (in particolare in Ghana, Kenya, Sudafrica), nel Regno Unito con personalitĆ del movimento panafricanista come Jomo Kenyatta (futuro presidente del Kenya), C.R.L James, George Padmore, o suffragette come Sylvia Pankhurst, in Asia dove i rapporti tra Cina e Italia subiscono un progressivo deterioramento, e infine negli Stati Uniti con forti scontri tra la minoranza nera e quella italiana.
Lāinvasione dellāEtiopia non ĆØ una semplice avventura, ma una guerra nazionale e fascista a tutti gli effetti, con Mussolini coinvolto in primo piano negli aspetti decisionali. Nel 1935 comincia una processione di navi cariche di armamenti e soldati che salpano dal porto di Napoli e arrivano in Eritrea. Il Duce non vuole correre il rischio di unāaltra Adua, decide di stanziare una quantitĆ di forze impressionanti, paragonabile solo a quella degli americani in Vietnam o dei francesi in Algeria, altra vicenda valorizzata sul grande schermo dal capolavoro La Battaglia di Algeri.
Dalla preparazione iniziale allāapice dei combattimenti lāItalia mette in campo piĆ¹ di trecentomila militari, quasi novantamila ascari, centomila lavoratori militarizzati, diecimila mitragliatrici, piĆ¹ di mille cannoni, duecentocinquanta carri armati, circa centomila quadrupedi, quindicimila automezzi. Le risorse belliche includono oltre trecento tonnellate di armi chimiche, vietate dalla Convenzione di Ginevra del 1925 (sottoscritta anche dallāItalia), e trecentocinquanta aerei che garantiscono il dominio completo dei cieli.
Gli etiopi, invece, non hanno unāindustria di guerra, possono disporre solo di armi bianche, vecchi fucili dellāottocento (quelli con cui avevano respinto gli italiani durante la prima incursione), qualche mitragliatrice e pochi cannoni. Ad eccezione di una piccola accademia militare, sono sprovvisti di un sistema strutturato di difesa, devono imbastire un esercito improvvisato con lāarruolamento di cittadini comuni.
La SocietĆ delle Nazioni tenta invano di fermare il conflitto. Istituisce delle sanzioni contro lāItalia, che perĆ² ottengono il classico contraccolpo ārally around the flagā, ovverosia un aumento del consenso interno che il governo consegue presentando il paese come vittima di un accerchiamento internazionale. I diplomatici francesi e inglesi portano avanti alcuni blandi tentativi di pacificazione, ma vogliono evitare di contrariare Mussolini, alleato chiave in funzione anti-tedesca. Si palesa lāimpotenza della SocietĆ delle Nazioni di fronte allāaggressione di uno stato sovrano, una validazione cruciale per Hitler e i suoi piani futuri.
Il 5 ottobre 1935 il Generale De Bono attraversa il fiume Mareb, che definisce il confine tra lāEritrea e lāEtiopia, dando il via alle ostilitĆ senza nemmeno una dichiarazione formale. Nei due mesi successivi le operazioni procedono a rilento; il Duce esautora De Bono e affida il comando a Badoglio, ritenuto piĆ¹ spregiudicato. Badoglio accelera lāavanzata dal fronte nord, mentre Graziani procede da sud. Nonostante la coraggiosa lotta degli etiopi, la disparitĆ di forze tra le due armate ĆØ soverchiante. Si tratta di una guerra senza storia, una sequenza di massacri, con bombardamenti che colpiscono anche la popolazione civile e gli ospedali della Croce Rossa. Il conflitto termina dopo sette mesi; Badoglio entra trionfalmente ad Addis Abeba il 5 maggio 1936 e quattro giorni dopo, dal balcone di Piazza Venezia, Mussolini proclama lāimpero.
Questa vicenda non ha (ancora) interessato maestri come Coppola o Pontecorvo, capaci di metterla in luce e sensibilizzare intere generazioni. Esistono comunque narrazioni popolari che, a mio modesto parere, vale la pena citare. Nel fumetto, lāesempio piĆ¹ pertinente ĆØ un albo Bonelli di Claudio Nizzi intitolato Abissinia!. Per il cinema, Inconscio italiano di Guadagnino, che purtroppo ha avuto una distribuzione limitatissima. Va segnalato lāimportante documentario Fascist Legacy della BBC, boicottato dalla RAI che ne acquistĆ² i diritti in esclusiva per impedirne la trasmissione. Infine, la letteratura: Tempo di uccidere di Flaiano, Regina di fiori e di perle di Gabriella Ghermandi, Sangue giusto di Francesca Melandri, Cronache della polvere di Zoya Barontini, Il re ombra di Maaza Mengiste.
Yekatit 12 si inserisce allāinterno di questo percorso con la speranza che un linguaggio immediato ed accessibile come il fumetto possa dare un piccolo contributo a far conoscere questo pezzo importante della nostra storia.