Genesi di "Yekatit 12"
Come nasce una graphic novel sulla resistenza in Etiopia durante l'occupazione fascista
L’idea di Yekatit 12 risale alla fine del 2018. Stavo cercando il soggetto per un nuovo fumetto da scrivere e disegnare dopo aver abbandonato quello precedente, Cybersade, una storia cyberpunk che non aveva trovato uno sbocco editoriale.
La mia intenzione iniziale era fare una graphic novel sulla missione di Ilio Barontini in Etiopia per sostenere gli arbegnuoc nella guerriglia contro l’occupazione fascista.
Ho sempre provato una grande ammirazione per le persone che scelgono di andare a combattere battaglie in altri paesi, come George Orwell in Spagna o in tempi più recenti Lorenzo Orsetti in Siria. Il coraggio di sposare una causa lontana a livello geografico ma vicina per motivazioni e ideali, al punto da mettere in gioco la propria vita, era il tema che avrei voluto sviluppare.
Facendo ricerche su internet, mi imbatto in un documentario di Antonello Carvigiani sul massacro di Debre Libanos, ovverosia la fucilazione di circa duemila preti copti da parte dell’esercito italiano alla fine del maggio 1937, un episodio di cui all’epoca avevo una conoscenza a dir poco vaga.
Nel video compaiono alcune persone con le quali in seguito sarei entrato in contatto diretto per lo sviluppo del fumetto: Ian Campbell, uno storico inglese che vive ad Addis Abeba, ed il cardinale Berhaneyesus Souraphiel, arcivescovo della capitale. Campbell e Souraphiel vengono intervistati (al min. 25’ circa) a proposito dell’episodio che scatena la rappresaglia contro i monaci del monastero di Debre Libanos: l’attentato al maresciallo Rodolfo Graziani, compiuto il 19 febbraio 1937, giorno Yekatit 12 nel calendario etiope.
Gli autori dell’attentato sono due giovani eritrei, Abraham Deboch e Mogos Asghedom, che lanciano le granate contro Graziani, ed un tassista etiope, Simeon Adefris, che aspetta i due all’uscita del palazzo imperiale per caricarli in macchina ed aiutarli a fuggire. Simeon accompagna i complici a Debre Libanos affinché Abraham possa ricongiungersi con la moglie, e poi ritorna ad Addis Abeba. È convinto di non avere lasciato tracce, ma quando arriva a casa trova i carabinieri ad attenderlo. Viene arrestato, imprigionato nel carcere di San Giorgio, torturato ed infine ucciso.
Il cardinale Souraphiel è il nipote di Simeon (pronuncia Simòn) e descrive lo zio come un intellettuale, cattolico, insegnante all’Alliance Française. L’unico ritratto che trovo mi colpisce profondamente.
Simeon è elegante, pettinato con cura, indossa un completo nero con farfallino, insomma un partigiano borghese, molto lontano dalle immagini (e dall’immaginario) che avevo esplorato fino a quel momento, con guerriglieri in divise color kaki, cartucciere a tracolla e capigliature afro.
Il fumetto è un linguaggio visuale e questa fotografia mi cattura. Mi immagino un personaggio agiato che avrebbe potuto godersi la sua posizione di privilegio conformandosi agli occupanti, traendone addirittura vantaggio, e invece sceglie di rischiare tutto per partecipare ad una missione suicida. Comincio a scavare ed emerge una storia appassionante. Il complotto per uccidere Graziani è il fulcro attorno al quale ruotano eventi enormi: una massiccia propaganda razzista e sessista (“faccetta nera”), una guerra di invasione con uno sforzo bellico pari a quello degli americani in Vietnam, leggi razziali ante litteram, repressioni spaventose, campi di concentramento con tassi di mortalità superiori ad Auschwitz, partigiani neri che affrontano (e sconfiggono) il fascismo nel suo momento di maggiore forza, molti anni prima della resistenza nostrana. Fatti che dovrebbero essere parte integrante della nostra memoria collettiva (Debre Libanos potrebbe avere la stessa rilevanza di una Marzabotto) e che invece, salvo sparute eccezioni, ignoriamo.
In breve, questa vicenda mi risucchia come un vortice, diventa una specie di ossessione. Capisco che ho del materiale esplosivo per le mani. Decido di accantonare il progetto su Barontini e raccontare la storia dello Yekatit 12. Scelgo di adottare la prospettiva degli etiopi, a partire dal titolo. La letteratura italiana sul periodo coloniale (in primis il meraviglioso “Tempo di uccidere” di Flaiano) racconta sempre il nostro punto di vista. Io voglio andare dall’altro lato, simbolicamente come i volontari internazionali che ammiro. Sono consapevole che sul piano narrativo è una strada rischiosa, ma mi sembra la cosa giusta da fare.
È l’inizio di un lungo cammino, tuttora in corso, fatto di ricerca, sceneggiatura, disegni ed incontri. Grazie a questo progetto sto raccogliendo ed elaborando una quantità di materiale sul tema del colonialismo italiano e dell’antifascismo africano. Proverò a condividerlo su questo blog, come una specie di diario dietro le quinte: il making of di “Yekatit 12”. Se siete interessati, iscrivetevi alla newsletter e riceverete aggiornamenti periodici.