Innanzitutto, due comunicazioni di servizio.
La prima. Sabato 20 maggio alle 18 parteciperò all’incontro “Storie di colonialismo” al Circolo Aics Nassau di Bologna. Per l’occasione ci sarà anche un’esposizione delle mie tavole. L’evento fa parte della rassegna Vibrazioni Migranti e prevede un confronto tra il sottoscritto, Mariana Califano, di Resistenze in Cirenaica, e Matteo Dominioni, lo storico che ha scoperto la strage di Zeret, uno dei crimini più efferati compiuti dall’esercito italiano durante l’occupazione dell’Etiopia.
La seconda. Substack, la piattaforma che ospita questa newsletter, ha introdotto le Note: un nuovo strumento per condividere pensieri brevi e immagini. Sono sostanzialmente simili a dei post su Facebook o Twitter, appaiono come nell’esempio di seguito.
Nei prossimi mesi, è probabile che io riduca leggermente la frequenza della newsletter, che richiede tempi di lavorazione lunghi, e condivida i miei progressi prevalentemente con le Note, più immediate e veloci. Se volete seguirle, basta andare su Substack e creare un account (c’è anche la app): in quanto iscritti a questa newsletter, vedrete automaticamente i miei aggiornamenti.
Il motivo di questa evoluzione è che ho terminato lo storyboard, ben 210 pagine, e sono passato alla creazione delle tavole definitive che mi assorbe quasi completamente (di seguito una delle ultime che ho fatto). Al momento ne ho disegnate circa un quinto del totale.
Il completamento dello storyboard è un traguardo molto importante. Devo confessare che all’inizio di questo percorso, nel 2019, non ero per niente sicuro di riuscire a raggiungerlo. Avevo un’idea di fondo, il bisogno di esprimerla, ma non avevo mai fatto un romanzo storico a fumetti e mi ritrovavo con una quantità soverchiante di materiale da studiare e sistematizzare.
Durante il tragitto ci sono stati svariati momenti di crisi in cui mi sembrava di non essere all’altezza del compito. Eppure, dopo quattro anni di lavoro, sono arrivato a creare una versione della storia che mi sembra efficace e scorrevole. I primi riscontri sono molto positivi.
Uno dei passaggi più complessi è stato quello di elaborare il finale. Yekatit 12 è progettato per avere una struttura ellittica, la fine che riprende l’inizio, con la struttura che segue:
Prologo. Italia, tempo presente. Racconto in prima persona come mi imbatto nella figura di Simeon Adefris, attraverso il documentario sul massacro di Debre Libanos in cui intervistano il nipote, padre Berhaneyesus Souraphiel.
Sviluppo (90% del romanzo). Si passa in Etiopia a metà degli anni trenta. La sorella di Simeon narra la storia dell’attentato a Graziani e delle rappresaglie successive.
Epilogo. Parlo dell’effetto di questa storia in Italia, con la commemorazione dello Yekatit 12.
Simbolicamente, il primo punto rappresenta l’inconsapevolezza collettiva del passato coloniale, il secondo l’incontro con la cruda verità dei fatti storici, il terzo la necessità di affrontare questa nuova coscienza ed elaborarla. Come ho detto in un post precedente, non voglio che Yekatit 12 appaia come una storia del passato in un paese distante, sento la necessità di evocare la sua rilevanza oggi nella nostra società.
Il problema principale di questa architettura è sempre stato come passare da un punto all’altro, ovverosia dalla mia voce narrante a quella della sorella di Simeon. Dopo svariati tentativi, ipotizzo di usare un intermediario: padre Berhaneyesus mi parla di quando sua zia Shewareged gli raccontava dell’occupazione fascista. Tre passaggi / voci narranti: io → Berhaneyesus → Shewareged.
Arrivato all’epilogo, però, realizzo che si tratta di una sequenza troppo complicata e, soprattutto, difficile da risolvere in direzione inversa. Pertanto, decido di eliminare un passaggio. Ma come passare direttamente da me a Shewareged?
Poi, un’intuizione. Riepilogo nella mia mente i punti di forza di Shewareged come voce narrante:
ha vissuto quei fatti storici in prima persona
è la sorella di Simeon, quindi ha un forte coinvolgimento emotivo nel raccontare i fatti
si è battuta per il fratello
è una donna, e il punto di vista femminile sulla violenza machista dei fascisti crea un contrasto forte
Realizzo che forse Shewareged non è l’unica persona a soddisfare questi criteri. Nel libro di Ian Campbell The plot to kill Graziani si menziona un’altra sorella di Simeon, Assegedech, che negli anni ottanta riesce ad andare alla televisione nazionale etiope a raccontare la storia del fratello, semi-sconosciuto fino a quel momento, affinché il suo sacrificio ottenga il riconoscimento che merita.
Assegedech impersona sicuramente tre punti su quattro della mia lista. Quello che ancora non so è se rispetta il primo, il più importante. Dov’era durante i fatti storici, visto che la famiglia di Simeon è originaria di Harar e non di Addis Abeba?
Ho il privilegio di avere un filo diretto con due dei nipoti di Simeon, Berhaneyesus e Mombasa. Rivolgo loro questa domanda e, con la consueta disponibilità, Mombasa mi risponde che Assegedech è nata nel 1918 e, in base alle sue ricerche, negli anni trenta viveva ad Addis Abeba insieme alla sorella maggiore Shewareged.
È la soluzione. Assegedech può diventare il nuovo punto di vista narrativo al posto di Shewareged. Le due sorelle vivevano insieme, quindi riesco ad introdurre questo nuovo personaggio con un numero molto limitato di cambiamenti e mantenendo sostanzialmente inalterata la struttura complessiva.
L’incipit si risolve così in due passaggi molto semplici:
Scopro il massacro di Debre Libanos, la figura di Simeon, il fatto che è rimasto semi-sconosciuto fino agli anni ottanta quando…
Sua sorella Assegedech va in televisione a parlare di lui. Dopodiché, racconto la storia attraverso l’intervista televisiva di Assegedech.
Di seguito la tavola sul passaggio del testimone: dal mio punto di vista a quello di Assegedech.
Come per magia, questo nuovo inizio mi porta a scrivere un finale fluido, inevitabile, corrispondente alla verità storica. Grazie all’intervento televisivo di Assegedech, la figura di Simeon ottiene progressivi riconoscimenti come eroe della resistenza. Inoltre, l’attentato dello Yekatit 12, fino a quel momento derubricato come un episodio da cui prendere le distanze, diventa uno dei momenti topici della lotta contro l’invasore.
Questa influenza arriva fino ai giorni nostri e ci costringe a fare i conti con un passato scomodo da conoscere ed elaborare.