Punti di vista narrativi
Quale voce narrante scegliere per raccontare la storia? Una certezza iniziale e una serie di dilemmi successivi
Scegliere il punto di vista da cui raccontare una storia è sempre una decisione difficile. Emmanuel Carrère arriva addirittura a confrontarsi su questo tema con il protagonista del romanzo-verità L’avversario, uno piscopatico che stermina la famiglia dopo una vita di menzogne. Tra le varie opzioni che questo personaggio suggerisce c’è quella di far raccontare la storia al suo cane, idea che Carrère trova brillante (ma che poi ovviamente non adotta). Per dire che le possibilità sono molteplici, e la stessa storia può prendere pieghe completamente diverse a seconda dell’angolo che si sceglie.
Nella realizzazione di questa graphic novel affronto periodiche incertezze sullo stile grafico, ma per quanto riguarda la voce narrante ho una convinzione granitica fin dall’inizio. La storia deve essere raccontata da Shewareged Adefris, la sorella di Simeon.
Ci sono tre motivazioni alla base di questa scelta.
La prima è che Shewareged ha un ruolo fondamentale nel recuperare la salma del fratello, dopo la sua uccisione nel carcere di San Giorgio, il 10 maggio 1937. Quel giorno i parenti di Simeon si recano alla prigione per portargli del cibo, vengono informati che è morto, sarà cremato la mattina dopo. Chiedono di poterlo seppellire. I fascisti non sentono ragioni. Allora Shewareged corrompe il medico del carcere, il dottor Iannuzzi, offrendogli i suoi gioielli. Il piano funziona, e Shewareged ottiene il corpo del fratello.
L’iniziativa di Shewareged consente innanzitutto di scoprire che Simeon è stato gravemente torturato e poi ucciso con un veleno (un’iniezione letale praticata dallo stesso Iannuzzi), ribaltando la tesi sostenuta dai fascisti che fosse morto di cause naturali. Dopodiché, permette alla famiglia di dargli una degna sepoltura. Il funerale avviene in segreto nel cimitero cattolico di San Pietro e Paolo ad Addis Abeba. Simeon viene sepolto in una tomba anonima, e come causa di morte il prete scrive semplicemente: “Mort dans la prison”.
Questo episodio è l’inizio di una lunga battaglia condotta dalla famiglia di Simeon affinché il sacrificio di questo partigiano ottenesse il giusto riconoscimento. Nel 1986 un’altra sorella, Assegedech, riesce a parlare di Simeon alla TV e alla radio nazionale. Nel 1991 il nipote, il cardinale Beraneyesus Surafiel, fa seppellire Simeon in una nuova tomba con una lapide che racconta la sua storia. Nel 2001, infine, la famiglia fa installare un memoriale nel cimitero.
La seconda ragione per cui scelgo Shewareged come voce narrante è che vive tutti gli eventi di questa storia in prima persona, da un punto di vista privilegiato. Shewareged, infatti, è sposata con Tesfayé Tegen, un dignitario che ha rivestito ruoli governativi di rilievo: direttore generale del Ministero degli Esteri, ambasciatore a Parigi, interprete personale dell’imperatore. Quando gli italiani occupano la capitale, Tesfayé deve sottomettersi a Badoglio. Grazie alla posizione del marito, Shewareged ha accesso diretto alla Storia con la S maiuscola, ed è plausibile immaginarla come una testimone informata e consapevole.
Nella graphic novel, Shewareged conosce e racconta tutti gli avvenimenti, inclusi alcuni fatti che nella realtà le saranno stati del tutto ignoti. Sto creando una fiction storica, e il potere della narrazione mi consente di rendere Shewareged onnisciente, un trucco per costruire il racconto e enfatizzare la determinazione della famiglia nel rendere pubblica la storia di Simeon.
La terza motivazione, ultima ma non meno importante, è che Shewareged è una donna, e la sua voce fa da contraltare ad un potere violento interamente maschile. In particolare, il fascismo accompagnò la conquista dell’Etiopia con una campagna di propaganda in cui le donne africane venivano presentate come oggetti sessuali disponibili a sottomettersi ai desideri degli italiani. Il contrasto tra questo dominio maschilista, bianco, predatorio ed una donna nera libera e combattiva mi sembrava un elemento narrativo di grande forza.
Fatta la scelta di Shewareged come voce narrante, la questione successiva è: in quale contesto si mette a raccontare la storia di Simeon? In concreto, come cominciare il fumetto? Devo inventarmi una situazione.
La prima ipotesi che immagino è la seguente. Siamo in Italia, nel primo dopoguerra. Tesfayè, il marito di Shewareged, è ambasciatore d’Etiopia a Roma (fatto storico vero) e Shewareged lo ha seguito (fatto non verificabile, finora). Un ricercatore universitario fa visita ai due coniugi e intervista Shewareged sulla sua esperienza durante l’occupazione italiana.
Condivido questo primo scenario con un mio amico fumettista, Pietro Scarnera, il quale tra un bicchiere di vino e l’altro mi fa notare che far cominciare la storia negli anni 50 presenta una connessione piuttosto debole con il tempo presente. E questo è un problema, perché io invece vorrei trasmettere l’attualità di questa vicenda, la sua rilevanza rispetto a quello che viviamo oggi.
Inoltre, quando parlo del progetto noto sempre grande curiosità verso il percorso di ricerca, le motivazioni che mi hanno ispirato, le persone con cui sono in contatto. Il mio avvicinamento allo Yekatit 12 è una storia nella storia che merita di essere raccontata.
Allora, decido di adottare una strada alternativa, mettendomi in gioco in prima persona e raccontando nelle prime tavole la genesi di questa graphic novel.
Partendo dalla Cirenaica, e passando da Ilio Barontini, arrivo ad intervistare il cardinale Beraneyesus Surafiel, il quale mi dice che suo padre e sua zia gli parlavano di Simeon. A questo punto, la storia si sposta in Etiopia negli anni 60, dove Shewareged racconta a suo nipote, un giovane Beraneyesus, quello che hanno vissuto durante l’occupazione fascista nel 1935-37.
Tuttavia, c’è un problema: nella realtà, la zia che parlava di Simeon al giovane Beraneyesus non era Shewareged, ma Assegedech (quella che va in TV). Il cardinale purtroppo non ha mai conosciuto Shewareged: lei viveva ad Addis Abeba, lui ad Harar, ed è morta prima che potesse incontrarla.
Posso prendermi un’altra licenza poetica e sostituire Assegedech con Shewareged? Su questo punto ho qualche remora. Fatte le dovute proporzioni, vorrei evitare di ritrovarmi con il mio Limonov che dice che la storia contiene un errore.
Decido quindi di confrontarmi con il cardinale, gli scrivo una email spiegandogli le mie intenzioni e le motivazioni alla base di questa scelta creativa. Sto costruendo una situazione fittizia, ne sono consapevole, ma l’intento è rappresentare qualcosa di vero: la volontà delle sorelle di Simeon di tramandare ai nipoti la sua storia, affinché questi potessero continuare a divulgarla. Simbolicamente, Shewareged e Assegedech diventano lo stesso personaggio.
Dopo qualche giorno, il cardinale mi risponde che gli sembra una buona soluzione! Mi sento legittimato a procedere. I personaggi possono entrare in scena. Shewareged sta agitando un piccolo ventaglio sul bracere. Ha di fronte un ragazzo, che chiede insistentemente di conoscere la storia dello zio Simeon dall’inizio alla fine. Shewareged smette di sventagliare, fissa a lungo i carboni ardenti, poi dice: “Va bene, Beraneysus, adesso sei grande, è giusto che tu sappia…”
Aggiornamento sul punto di vista narrativo in questo post: