Ibridazioni e risemantizzazioni
Un incontro in Cirenaica a Bologna, una targa anti-coloniale davanti alla piscina Dogali a Modena, e una sintesi dell'evento a San Giorgio di Piano.
È un periodo intenso. Questo week-end Resistenze in Cirenaica organizza a Bologna Ibridazioni, un evento di due giorni denso di contenuti. Io parteciperò all’incontro di sabato 25 maggio alle 18 con altri fumettisti e disegnatori che hanno affrontato il tema coloniale: Emanuele Giacopetti, Manuel De Carli e Alberto Merlin. A seguire, cena a cura del Ristorante Africano di Bologna con piatti tipici etiopi, reading teatrale L’oro alla Patria di Marco Manfredi, e musica live. Il programma completo a questo link.
Venerdì 24 maggio sarò a Roma al Festival di Fumetto ARF! per motivi legati al mio fumetto. Sarà l’occasione per vedere le mostre di due artisti che amo da sempre: Baru e Dave McKean.
Sabato 11 maggio sono stato a Torino al Salone del Libro, dove ho avuto la fortuna di:
assistere al lancio del nuovo libro di Pietro Scarnera, Viaggio in Italia, un progetto meraviglioso che attendevo con trepidazione
conoscere finalmente di persona Andrea Ferraris, che mi ha dato un feedback molto positivo su Yekatit 12
vedere un incontro con Sara Colaone sulle donne protagoniste delle sue storie, e uno con Igort e Andrea Ferraris sulla nuova rivista Alterlinus.
Domenica 5 maggio a Modena ho presenziato all’inaugurazione della targa di fronte alle Piscine Dogali, un’azione realizzata dal Centro Memorie Coloniali e dall’Istituto Storico di Modena. Si tratta di un altro passo verso una maggiore consapevolezza collettiva sui simboli che circondano le nostre vite.
La vicenda di Dogali (più dettagli in un post precedente) è un paradigma del fenomeno coloniale italiano. Siamo nel 1887, l’Etiopia di allora è un territorio libero senza confini, l’Eritrea (una creazione italiana successiva) non esiste ancora. Gli italiani partono dal porto di Massaua e cominciano a penetrare l’entroterra. I soldati etiopi comandati da Ras Alula affrontano il nemico a viso aperto, muoiono a centinaia falcidiati dalle mitragliatrici, ma riescono a prevalere e a difendere il proprio paese dall’invasore. È un episodio di valorosa resistenza africana, andrebbe raccontato così. Invece, nel nostro sguardo dell’epoca, Dogali diventa l’emblema del sacrificio eroico dei cinquecento italiani caduti in battaglia. Circa quarant’anni più tardi, il fascismo sfrutta questa retorica per propagandare la necessità di una rivincita sull’Etiopia e preparare l’invasione. A Modena, il regime sceglie di intitolare a Dogali una via e una piscina, costruita nel 1936 insieme allo Stadio Braglia. Essendo originario di Modena, si tratta di luoghi che mi sono particolarmente familiari.
Ebbene, da adesso in poi, finalmente, c’è una targa che propone un po’ di contesto, e questa intitolazione nefasta si trasforma un’occasione per imparare qualcosa sulla nostra storia1. È un esempio importante di risemantizzazione di segni che glorificano le imprese coloniali, un’operazione da replicare ovunque possibile.
A proposito di iniziative che cambiano il significato della simbologia coloniale, l’evento a San Giorgio di Piano del 26 aprile che avevo anticipato nel post precedente è stato ricco di interventi stimolanti.
L’assessore alla Cultura Mattia Zucchini ha spiegato che la ricontestualizzazione della lapide di fronte all’ingresso del Comune è un atto che gli sta particolarmente a cuore perché la vede quotidianamente recandosi al lavoro, inoltre è posta davanti ad una targa che commemora i combattenti caduti per la Liberazione. Ha spiegato che nel dopoguerra si cancellarono dall’epigrafe le parole “fascista” e “fascistissimamente”, ma evidentemente il messaggio di celebrazione coloniale non fu giudicato inappropriato e si scelse di mantenerlo. Oggi la sensibilità è cambiata. Se da un lato è giusto compiangere i due Sangiorgesi morti durante l’invasione dell’Etiopia, anch’essi vittime di un potere criminale, dall’altro è sbagliato farlo esaltando un’impresa che ha causato migliaia di vittime africane e va riconsiderata con nuovi valori.
Viviana Graviano ha fatto un intervento sul retaggio del nostro passato coloniale e su come la mancata elaborazione critica di quella vicenda storica abbia propagato la mentalità razzista e discriminatoria dell’epoca nel nostro presente. Ha citato numerosi esempi in cui il linguaggio di oggi tende a trasmettere un’idea stereotipata e caricaturale delle persone nere, perpetrando una dinamica di diversità, a volte anche nel tentativo di dimostrarsi aperti e inclusivi.
Giulia Grechi ha sviluppato il discorso sulle Statue Giuste di Tommaso Montanari, raccontando in particolare due casi:
L’ex palazzo della Gioventù Italiana del Littorio, ristrutturato nel 2005 e nel 2017 mantenendo intatte le iscrizioni fasciste e le mappe dell’impero coloniale senza fornire alcuna cornice critica (la Regione Lazio lo ha addirittura rinominato WeGil). Nel 2019 il Festival Short Theatre ha proposto alcune performance di risignificazione, come quella dell’artista Andrea Lo Giudice che ha trasformato i proclami fascisti sulla facciata in messaggi di amore.
L'ex Casa del Fascio di Bolzano con il bassorilievo che rappresenta il duce a cavallo e il “trionfo del fascismo”. Un installazione permamente commissionata dell'Amministrazione provinciale altoatesina ne ha cambiato il senso facendo apporre sul monumento la famosa citazione di Hannah Arendt “Nessuno ha il diritto di obbedire”.
Nadia Mohamed Abdelhamid ha parlato dell’esperienza del colonialismo italiano in Libia. Ha citato la struggente poesia di un artista deportato in epoca liberale, che racconta il momento dell’addio al suo paese. Ha sottolineato l’importanza della poesia nella memoria storica libica, dato che le testimonianze scritte o orali sono molto limitate. Ha raccontato la storia di Omar al-Mukhtar, leader della resistenza libica che ha sfidato l’occupazione italiana fino in tarda età, e la repressione di Graziani che ha sterminato la popolazione della Cirenaica deportandola in campi di concentramento, con drammatiche marce forzate nel deserto anche di mille chilometri. Infine, ha spiegato che Gheddafi chiamava i dissidenti “cani sciolti”, perseguitava gli esuli minacciando di uccidere i loro familiari, e usava la figura storica di Omar al-Mukhtar in modo strumentale, alterandone la percezione popolare, e cercando di scollegare la sua figura dalla confraternita Senussia, a lui avversa perché vicina al re.
Segnalo infine che Nadia Mohamed Abdelhamid interverrà all’evento Ibridazioni con l’incontro Diari Libici: decostruire uno stereotipo.
Occupandomi di linguaggi visuali, va detto che l’immagine nella grafica appare inappropriata per due motivi: rappresenta una manovra dell’esercito italiano, quindi parla di noi e non dei partigiani etiopi protagonisti della vicenda, inoltre ritrae degli ascari eritrei, un corpo coloniale costituito in un periodo successivo alla battaglia di Dogali.