Altre Resistenze e simboli di memoria collettiva
Come monumenti e lapidi modellano la nostra comprensione storica e culturale: un'evoluzione necessaria per la consapevolezza comune.
Venerdì prossimo 26 Aprile alle 21 sarò a San Giorgio di Piano a presentare il lavoro in corso sul fumetto Yekatit 12. L’occasione è un evento pubblico organizzato dall’assessore alla cultura Mattia Zucchini in collaborazione con l’Associazione Attitudes Bologna e la rete Yekatit 12 - 19 Febbraio, con la partecipazione di Viviana Graviano e Giulia Grechi, per posizionare una nuova targa sotto ad una lapide commemorativa del 4 novembre 1936 dedicata a due uomini che
Chiamati dalla voce della patria, immolarono le loro giovani vite in terra d’Africa nella grande opera di conquista dell’impero.
È un segno importante che nelle celebrazioni della Liberazione si cominci a includere anche il tema della Resistenza africana al colonialismo. “Una mattina mi son svegliato e ho trovato l’invasor”, infatti, potrebbe essere il verso di una canzone scritta in amarico nel 1936. La Resistenza etiopica, povera e male armata, è stata la prima a sconfiggere, o comunque mettere in grande difficoltà, un esercito nazifascista.
L’iniziativa di San Giorgio di Piano si inserisce all’interno di un movimento globale sempre più ampio che vuole mettere in discussione targhe o monumenti legati a vicende o personalità che rappresentano valori negativi, quali supremazia razziale, colonialismo, sessismo.
Su questo tema segnalo due novità recenti: il libro Le Statue Giuste di Tommaso Montanari, e il film Stonebreaker del regista Valerio Ciriaci. Il libro di Montanari parte dal presupposto che quando si erige un monumento in un luogo pubblico si sta indicando un modello di virtù civile. In alcuni casi, il riferimento che viene proposto entra in collisione con il sistema di valori contemporaneo, ed è giusto contestarlo. Un esempio particolarmente attuale è quello della statua di Montanelli che, in riferimento alla sua esperienza in Etiopia, si è vantato di avere comprato e stuprato un’adolesecente di dodici anni1.
Era fin dalla nascita infibulata, il che, oltre ad opporre ai miei desideri una barriera pressoché insormontabile (ci volle, per demolirla, il brutale intervento della madre), la rendeva del tutto insensibile.
Il film di Valerio Ciriaci si focalizza sul movimento statunitense guidato da afroamericani e nativi americani che contesta le statue di Cristoforo Colombo, figura rappresentativa del genocidio perpetrato nei confronti degli indigeni. Intorno a questo filone, Stonebreakers mette in scena una serie di contraddizioni sul tema dei simboli della nazione. Si comincia con il discorso di Trump che esalta la fondazione del paese con la distruzione della statua di piombo di Re Giorgio III per farne proiettili da usare nella lotta di indipendenza. Si continua mostrando il tentativo di alcuni attivisti neri di difendere i luoghi iconici della tratta degli schiavi per commemorare adeguatamente le vittime. Si conclude con la contestazione del famoso complesso scultureo del monte Rushmore che rappresenta personalità controverse come George Washington, proprietario di schiavi, ed è situato nelle Black Hills, un luogo sottratto agli indiani.
Va detto che l’opposizione ad effigie problematiche non prevede necessariamente la loro rimozione. Su questo punto c’è un dibattito in corso tra intellettuali e attivisti dove l’orientamento prevalente è quello di mantenere intatte le opere di valore storico, e risemantizzarle aggiungendo elementi di contesto che possano favorire un evoluzione della consapevolezza collettiva. Come è stato deciso a San Giorgio di Piano.
Sul tema specifico del colonialismo italiano qualcosa comincia a muoversi, si sta sviluppando una coscienza maggiore. Da anni, collettivi come la Federazione delle Resistenze portano avanti attività per cambiare la narrazione di vie e monumenti che inneggiano a imprese coloniali. E ogni anno, in commemorazione dello Yekatit 12 (19 Febbraio), si moltiplicano le iniziative per sensibilizzare le persone sulle nostre responsabilità storiche. Lo scorso 19 Febbraio, ad esempio, ho partecipato alla conferenza Altre Resistenze al Museo Civico di Modena, coordinato da Paolo Bertella Farnetti, Alessandro Triulzi, e Maria Chiara Rioli. Il paradosso è che a poche centinaia di metri dal luogo in cui si è tenuto il seminario si trova una targa dedicata a Guglielmo Nasi, un criminale di guerra che scriveva telegrammi a Graziani di questo tenore:
Stiamo marciando, spianando tutto, bruciando tutto quello che che abbiamo davanti.
La speranza è che prima o poi anche a Modena possa nascere un’iniziativa come quella di San Giorgio di Piano per rimuovere la glorificazione di Nasi. Per il momento, c’è una petizione online su Change.org che invito a firmare.
Per chi fosse interessato ai contenuti del Convegno Altre Resistenze di Modena del 19 febbraio, potete trovare di seguito una sintesi degli interventi, mentre su YouTube c’è il video integrale (il mio intervento, è al minuto 43’ circa).
Alessandro Volterra e Maurizio Zinni hanno parlato del ritrovamento dell’archivio di 400 immagini sui processi alla resistenza in Libia, ad opera di un giudice militare con l’hobby della fotografia: una documentazione unica del punto di vista di un fascista incaricato di punire i ribelli, che offre svariati livelli di lettura.
Emanuele Ertola ha raccontato la varietà dei fenomeni mondiali di opposizione all’invasione italiana dell’Etiopia, che nel 1935 è l’evento di cui si parla di più sui media di tutto il mondo. In Europa c’è la mobilitazione di vari soggetti politici: il Partito Comunista francese, gli antifascisti e i socialisti fabiani britannici, vaste comunità della diaspora africana e afro-caraibica di Parigi e Londra. Negli Stati Uniti si organizzano le proteste di piazza più partecipate, ad es. tremila persone ad Harlem. Dopodiché, ci sono manifestazioni in tutti i paesi dell'Africa e in molti paesi asiatici. In India viene addirittura istituito un Abissinian Day il 9 maggio del 36.
Zighereda Tesfamariam dell’Associazione Donne nel Mondo ha sottolineato come l’Italia, a differenza di altre nazioni, si è sottratta all’obbligo di affrontare una seria riflessione sul passato, anzi ha favorito la rimozione delle colpe coloniali con palesi falsificazioni che hanno addirittura ostacolato la ricerca storica. Ha anche chiesto di accogliere con dignità e comprensione chi scappa da una guerra o da condizioni di vita fortemente oppressive, dato che noi italiani siamo in debito con questi popoli.
Zewidu Demisew Zeleke, membro della comunità etiope, ha raccontato che quando era bambino nel giorno dello Yekatit 12 si cantavano canzoni tristi tutto il giorno, ma non c’erano commemorazioni o convegni per elaborare quello che era successo, si lavorava come se fosse un giorno normale. Invece, oggi le vittime dello Yekatit 12 si ricordano come si deve. Ha denunciato lo scandalo del parco giochi per bambini intitolato a Graziani a Filettino (Frosinone). Infine, ha concluso dicendo che il popolo etiope ha perdonato.
Issak Yusuf Abukar dell’Associazione Comunità Somala ha ricordato l’impatto violento del colonialismo italiano sulla comunità somala con fenomeni di schiavismo, stupri, massacri, segregazione razziale, abbandono di figli meticci. Al termine del convegno, ha portato il contributo video di un intervista allo scrittore italo-somalo Mohamed Antar Marincola intitolato Perché non si parla del passato coloniale dell'Italia.
Matteo Dominioni ha spiegato che Graziani colpisce luoghi importanti, la città di Addis e il monastero di Debre Libanos, ma non riesce a scalfire la maggioranza della società etiope che vive altrove. Chi invece riesce a colpirla in profondità è il suo successore, il Generale Ugo Cavallero, che agisce dalla fine del 1937 all’aprile del 1939. Cavallero si focalizza sulle regioni dello Scioà e del Goggiam con repressioni straordinariamente efficaci e distruttive, arrivando a compiere la strage di Zeret, con duemila vittime civili in una grotta che era considerata uno dei luoghi più sicuri e protetti della Resistenza.
Alessandro Triulzi ha argomentato che la maggiore efficacia della repressione di Cavallero avviene grazie al lavoro di supporto dell’antropologo Enrico Cerulli, che collabora come vicegovernatore dell'Impero e mette le sue conoscenze teoriche al servizio dell’annientamento della società etiope. Inoltre, ha precisato che l’aggressione italiana dell’Etiopia è il primo evento mediatico mondiale (dopo c'è stata la battaglia di Algeri e subito dopo il Vietnam).
Matteo Dominioni ha aggiunto che Enrico Cerulli, oltre ad essere un grande studioso, è anche un ladro e un assassino: ruba centinaia di manoscritti tra i più preziosi e importanti della storia etiopica (che sono alla biblioteca Vaticana sotto il fondo Cerulli), ordina di far fucilare la famiglia Nasibù deportata dall’Etiopia (poi per fortuna interviene qualcun altro e l’esecuzione non avviene).
Costantino Di Sante ha spiegato perché la Commissione per i Crimini di Guerra delle Nazioni Unite, che lavora dal 1943 al 48 e oltre, non riesce a ad accogliere le richieste etiopi di condannare i responsabili italiani. I motivi sono principalmente due:
La Commissione è situata a Londra, e gli inglesi temono che un procedimento contro gli italiani possa generare un precedente pericoloso per i loro crimini coloniali. I documenti del Ministero degli Affari Esteri italiano dichiarano esplicitamente la volontà di far pressione sugli inglesi rinfacciando loro i crimini contro i Boeri e i campi di concentramento in Sudafrica.
Davanti a Graziani, il primo criminale nella lista degli Etiopi è Pietro Badoglio, ovvero sia l’uomo su cui gli alleati hanno puntato per guidare l’Italia post fascista, e questo crea grande imbarazzo a livello internazionale.
Di Sante sottolinea anche la continuità tra il colonialismo e il dopoguerra, dove alcuni di questi personaggi, come Alessandro Lessona, Enrico Cerulli o Guglielmo Nasi, proseguono tranquillamente la propria carriera, ottenendo anche prestigiosi incarichi pubblici o addirittura targhe onorifiche post mortem, come ad esempio quella dedicata a Guglielmo Nasi a Modena.
Inizialmente, Montanelli dichiarò che Destà (nome della vittima) aveva dodici anni, in una seconda versione quattordici. Purtroppo, tutto quello che sappiamo di questa sposa bambina viene da un’unica fonte: Montanelli, che era notoriamente un mentitore patologico.