Inconscio italiano
Appunti relativi al film di Luca Guadagnino sul colonialismo italiano in Etiopia
Devo confessare che non sono un grande conoscitore di Luca Guadagnino. Ho visto solo Io sono l’amore e A bigger splash molti anni fa, ricordo che mi sono sembrati forti a livello estetico ma piuttosto distanti dai miei interessi, e da allora ho smesso di approfondire il suo lavoro.
Grave errore, perché mi era completamente sfuggito il suo film sul colonialismo in Etiopia: Inconscio italiano. Ho avuto la fortuna di vederlo questo martedì alla Cineteca di Bologna.
Fatto curioso, prima della proiezione gli operatori si sono scusati perchè la copia a loro disposizione era in bassa definizione, non sono riusciti a trovare una versione di qualità adeguata. Effettivamente, sembra che l’opera sia introvabile. Su internet non sono riuscito a rintracciare nessuna possibilità di acquistare il DVD o guardare il film con un servizio di streaming (è presente nel database di Mubi ma non disponibile per la riproduzione). Mi sono addirittura imbattuto in una lettera aperta a Guadagnino in cui si chiede come ottenere il DVD. Ne approfitto per associarmi all’appello, alcune fotografie potrebbero aiutarmi nello sviluppo della graphic novel Yekatit 12. Se qualche persona conosce un modo per accedere al film, la prego di condividere le informazioni e scrivermi.
Va detto che il colonialismo italiano è da sempre oggetto di rimozione nel dibattito pubblico. La pellicola denuncia le nostre responsabilità e la cancellazione della memoria storica, a partire dalla parola inconscio nel titolo. Pertanto, è lecito immaginare che gli intoppi di distribuzione non siano una coincidenza.
Il film è diviso nettamente in due parti. La prima è composta da interviste ad intellettuali di riferimento realizzate da Giuppy D'Aura, co-autore del progetto. Le immagini sono in bianco e nero, con inquadrature e luci che danno la sensazione di riprese fatte di nascosto, quasi rubate, come ad evocare la difficoltà di far emergere questo pezzo di storia.
Le transizioni tra le diverse conversazioni avvengono con un viraggio color rosso sangue, una scelta stilistica di grande impatto emozionale che richiama costantemente gli effetti concreti degli argomenti trattati.
Si parte con Angelo Del Boca che propone una serie di punti sull’occupazione dell’Etiopia: le motivazioni del regime, l’enormità dello sforzo bellico (per non correre il rischio di una nuova Adua), l’orrore dei gas, i trecentomila etiopi uccisi tra soldati e civili, il coinvogimento diretto di Mussolini nelle operazioni quotidiane, le atrocità compiute in seguito all’attentato a Graziani, dalla strage di Addis Abeba fino al massacro di Debre Libanos. Lo storico conclude leggendo un telegramma di Graziani al Duce in cui il maresciallo si vanta della sua spietatezza nello sterminare gli ecclesiasti etiopi.
Nel secondo intervento, Michela Fusaschi spiega come il colonialismo miri a creare dipendenza nelle regioni soggiogate, anche tramite organizzazioni non governative. L’obiettivo non è mai distribuire conoscenza affinché l’altro possa progredire in autonomia, ma imporre elementi di superiorità per sottometterlo in modo permanente.
Lucia Ceci parla delle colpe della Chiesa Cattolica italiana. Pio XI non condanna l’invasione dell’Etiopia, considera Mussolini “l’uomo della provvidenza” per i vantaggi ottenuti con i Patti Lateranensi e sceglie di chiudere un occhio. Peraltro, gli etiopi sono sì cristiani ma monofisiti (la studiosa precisa che il termine copti è improprio) e quindi immeritevoli di una posizione in loro difesa. Pio XI si limita a fare una dichiarazione critica alla fine del conflitto, comunque censurata dalla curia. Inoltre, il Clero collabora all’operazione Oro alla patria, dove i cittadini donano le fedi nuziali allo Stato per finanziare la guerra, convincendo i fedeli che il legame del matrimonio rimane valido anche senza il simbolo dell’anello. L’operazione era necessaria per rispondere alle sanzioni economiche che la Società delle Nazioni, di cui l’Etiopia faceva parte, impone all’Italia. Il fascismo utilizza questa occasione per propagandare l’aggressione come una guerra di difesa patriottica dall’attacco della comunità internazionale.
Alberto Burgio, Iain Chambers e Ida Dominijanni analizzano soprattutto le conseguenze odierne del colonialismo e della sua mancata elaborazione. Gli italiani si percepiscono come non razzisti, ma è vero il contrario. Innanzitutto, la stessa Unità d’Italia nasce con un concetto discriminatorio del nord nei confronti del sud. Dopodiché, l’identità della nazione si costruisce proprio con le invasioni di Libia ed Etiopia attraverso la contrapposizione tra gli abitanti dello stivale, finalmente uniti, e gli africani, inferiori e subalterni. I nazisti adottano alcune misure contro gli ebrei che copiano dallo stato italiano, come il decreto Bottai che espelle i cittadini ebrei dalle scuole del Regno. Questo razzismo fondativo, represso per decenni, torna improvvisamente a galla negli anni 90. Berlusconi prende voti al centro e li sposta a destra (l’opposto di quello che faceva la DC), sdoganando partiti come la Lega, ostile verso meridionali e immigrati (in particolare neri e mussulmani), e Alleanza Nazionale, di diretta ispirazione fascista.
Terminate le interviste, la seconda parte del film è una sequenza ininterrotta di video dell’epoca tratti dall’archivio dell’Istituto Luce.
Si alternano immagini aderenti alla narrazione ufficiale, edulcorata e mistificata (fino agli italiani brava gente), contrapposte ad altre che stimolano una riflessione sui fatti reali. Non c’è nessun commento parlato, solo musica classica di accompagnamento. È una visione lunghissima, a tratti insostenibile, una metafora molto incisiva delle contraddizioni che agitano il profondo della nostra psiche collettiva. Da questo punto di vista, Inconscio Italiano sfrutta il mezzo della proiezione in tutta la sua potenza, con lo spettatore seduto in sala insieme a altre persone a fissare il grande schermo, in un rito di gruppo che colpisce duro e assorbe in modo totalizzante.
Esco dal cinema con un’idea trasformata di Guadagnino, un artista capace di creare un messaggio politico nel senso più alto, scavando alle fondamenta delle nostre radici (il regista ha vissuto i primi sei anni della sua vita in Etiopia) e affrontando le dinamiche controverse della comunità in cui viviamo, con un uso del linguaggio cinematografico sapiente e coraggioso.
Post scriptum del 10/12/22: Lorenzo Teodonio, autore di Razza Partigiana, mi segnala una puntata di Hollywood Party - Il cinema alla radio dedicata al film, con una lunga intervista all’autore e i brani quasi integrali degli intellettuali.