Partigiani d’Oltremare
Partigiani neri dal Corno d'Africa alla Resistenza italiana. Un dibattito ed un'esposizione sul work in progress del mio fumetto.
Lunedì prossimo 25 Aprile alle ore 18 sono invitato a partecipare ad un dibattito con Matteo Petracci all’Istituto Storico di Modena (Sala Ulivi). L’evento si chiama Partigiani d’Oltremare, ed è inserito all’interno delle celebrazioni del Comune.
Con l’occasione, gli organizzatori hanno allestito un’esposizione sul work in progress del mio fumetto, che durerà dal 23 al 28 aprile.
Per chi avesse voglia e tempo di fare un salto, la mostra è nel centro di Modena in via Rismondo 87, a due passi dalla stazione dei treni. Io sarò presente sabato 23 dalle 16 in poi, e lunedì 25 dalle 16 alle 17 (per poi spostarmi all’Istituto Storico).
Chi sono i Partigiani d’Oltremare? L’evento è ispirato al libro di Matteo Petracci su un gruppo di somali, eritrei ed etiopi, portati a Napoli nel 1940 per esibirsi come figuranti alla Mostra delle Terre d’Oltremare, che dopo l’8 settembre 1943 si uniscono alla Resistenza italiana.
L’esposizione di Napoli rientrava in una pratica comune tra le potenze imperiali, che organizzavano fiere affinché i cittadini potessero ammirare le conquiste coloniali: padiglioni con architetture esotiche, nativi che inscenavano la vita nei luoghi di origine, e così via.
La Mostra Terre d’Oltremare (MTO) inaugura in pompa magna il 9 maggio 1940, con la visita del Re Vittorio Emanuele III, accolto da Badoglio, Graziani, Balbo e una serie di autorità locali. Tuttavia, dopo un solo mese dall’apertura, l’Italia entra nella seconda guerra mondiale e la Mostra chiude (nell’annuncio ufficiale si dice “temporaneamente”, ma non riaprirà mai più).
Senza la possibilità di rientrare a casa, gli africani della MTO sono bloccati in Italia, lontano dai propri affetti, condannati a vivere confinati, visto che le leggi razziali non consentono loro di circolare liberamente. Quando arriva l’inverno, le baracche di legno, l’equipaggiamento, e le provviste di generi alimentari si dimostrano del tutto inadeguati: gli ospiti-prigionieri patiscono freddo e fame. Alcuni sono ricoverati in ospedale, due muoiono per malattia. Avendo padronanza della lingua italiana, scrivono al Ministero competente chiedendo miglioramenti basilari nelle condizioni di vita, ma le richieste vengono liquidate come lagnanze dovute a “tipici difetti della razza (…) insofferenti, ipercritici, neghittosi”.
Alla fine del 1940 cominciano i bombardamenti americani su Napoli, che colpiscono zone strategiche vicine alle baracche degli africani terrorizzati. Dopo due anni di distruzione della città, all’inizio del 1943, le autorità dispongono il trasferimento del gruppo da Napoli a Treia, nelle Marche.
Tra settembre e ottobre, quando cominciano a girare le prime notizie sulle sconfitte dell’Asse, alcuni neri scappano, tra cui gli etiopi Abdis Aga (che aveva già combattuto gli italiani durante la guerra in Etiopia), Mohamed Abbasimbo, Scifarra Abbadicà, e Abbagirù Abbanagi.
I quattro si dirigono sul Monte San Vicino, per raggiungere il gruppo partigiano di Mario Depangher. In seguito altri neri si uniscono, tra cui Aden Scirè, Thur Nur, Abbabulgù Abbagamal, Mohamed Raghé, Giana Elmi, fino ad arrivare a circa una dozzina.
I partigiani neri partecipano attivamente alle lotte per la Liberazione del territorio marchigiano, insieme a italiani, britannici, sloveni, montenegrini, croati, jugoslavi, sovietici, ebrei, polacchi. Il 1° luglio 1944 la Banda Mario entra finalmente a San Severino Marche liberata.
Oltre ai figuranti della mostra di Napoli di cui parla il libro di Petracci, ci sono altri casi di partigiani neri con origini d’oltremare che combattono nella Resistenza. Il più importante di tutti è sicuramente quello di Giorgio Marincola, la cui storia è raccontata dal libro Razza Partigiana di Lorenzo Teodonio e Carlo Costa.
Giorgio Marincola nasce in Somalia dalla relazione tra un uomo italiano e una donna somala, figlio di quelle relazioni miste nelle colonie tollerate in epoca liberale, poi represse con ogni mezzo in seguito alle leggi razziali introdotte durante l’occupazione dell’Etiopia.
Portato in Italia dal padre, cresciuto prima in Calabria poi a Roma, Giorgio Marincola si forma alla scuola di Pilo Albertelli, una delle figure chiave dell’antifascismo romano: professore del liceo Umberto I, co-fondatore del Partito d’Azione, arrestato il 1° marzo 1944, torturato dalla banda Koch, e fucilato nella strage delle Fosse Ardeatine.
Ispirato da Albertelli, Marincola sceglie di diventare membro attivo della Resistenza con lo pseudonimo di “Mercurio”. Frequenta un corso di paracadutaggio, ed entra nel gruppo Bamon, una delle missioni militari degli Alleati. Sei uomini della Bamon, tra cui Marincola, vengono trasportati con un aereo da Roma in Piemonte e si lanciano con il paracadute nella zona di Biella. Con il grado di tenente, Marincola partecipa ad azioni di sabotaggio e attacchi militari contro le colonne naziste. L’inglese Jim Bell, capitano della Bamon, lo descrive come l’uomo più attivo del gruppo.
Arrestato durante un rastrellamento nel 1945, Marincola viene trasferito a Torino a Villa Schneider, uno dei luoghi di reclusione e tortura dell’occupazione nazista. Costretto a parlare a Radio Baita, uno strumento di propaganda anti-partigiana, Marincola riesce a non denunciare nessuno, facendosi passare come una staffetta occasionale. Alla domanda perché un italo-somalo combattesse per gli inglesi, Marincola risponde:
Sento la patria come una cultura e un sentimento di libertà, non come un colore qualsiasi sulla carta geografica. La patria non è identificabile a dittature simili a quella fascista. Patria significa libertà e giustizia per i popoli del mondo. Per questo combatto gli oppressori.
Un proclama che riempie di orgoglio i suoi compagni in ascolto, ed è interrotto da rumori di violente bastonate.
Marincola viene poi deportato al campo di concentramento nazista di Bolzano, istituito per sopperire alla smobilitazione di quello di Fossoli. Il campo è liberato il 30 aprile 1945, ma Marincola si rifiuta di salire su un camion della Croce Rossa, che lo avrebbe portato in salvo in Svizzera, e si dirige in Val di Fiemme, dove si unisce al CLN di Cavalese per continuare a combattere insieme ad altri compagni. Cade nella strage di Stramezzino il 4 maggio 1945.
Le storie di questi partigiani neri, che hanno dato la vita per liberare l’Italia, sono esempi di grande rilevanza per un paese che è divenuto meta di immigrazione e deve elaborare il rapporto con l’altro, il diverso, in particolare con persone nere, spesso vittime di pregiudizi e razzismo. Al tempo stesso, esse testimoniano concretamente l’internazionalismo tipico della Resistenza, con i suoi valori geograficamente trasversali e unificanti.
Detto questo, gli organizzatori dell’evento di Modena, con il titolo Partigiani d’Oltremare, hanno voluto allargare il discorso e includere anche i partigiani neri che combatterono il fascismo a casa loro, come nel caso della Resistenza in Etiopia.
Rispetto a quella Italiana, che avviene in un periodo di declino del regime e con il sostegno immediato degli Alleati, la Resistenza etiope è forse ancora più eroica perché affronta un fascismo all’apice della sua potenza, in condizioni di enorme inferiorità militare, per la maggior parte del tempo senza nessun aiuto (gli inglesi arriveranno solo a metà del 1940).
Gli Arbegnuoc conducono una serie di operazioni di guerriglia, prevalentemente in montagna e in campagna, che costituiscono una costante spina nel fianco per l’occupazione fascista. I protagonisti di questi attacchi sono figure leggendarie nella storia etiope, veri e propri eroi nazionali, come ad esempio:
i fratelli Kassa: Aberra, Asfawossen e Wondowossen
Ficre Mariam, protagonista di numerosi assalti alla ferrovia, tra cui uno in cui terrorizzò il Ministro delle Colonie Alessandro Lessona
Balcha Safo, che combattè vittoriosamente contro gli italiani anche nella invasione precedente di fine ottocento
Abebe Aregai, ex capo della Polizia di Addis Abeba, uno dei pochi a sopravvivere fino alla Liberazione del paese
che trovate disegnati nella tavola di seguito.
Oltre alle attività militari, la Resistenza etiope mette in campo anche una quantità di manovre sotto copertura, in città e nei villaggi. Gli etiopi che scelgono questa strada sono denominati Wist Arbegnuoc. Organizzano passaggi di informazioni, raccolte fondi, sostegno medico, e complotti, come ad esempio quello ordito dall’Abuna Petros, rappresentato nella tavola, o l’attentato a Graziani.
Questi ultimi partigiani, in particolare, sono i protagonisti della mia graphic novel “Yekatit 12”, e proverò a raccontarli con la mia partecipazione all’evento di Modena.