Connessioni partigiane
La Resistenza contro il fascismo nasce nei territori occupati dall'Italia: un filo rosso che unisce le lotte di Liberazione dall'Africa a Bologna.
Mercoledì 19 febbraio, su invito del Comune di Bologna e della Rete Yekatit 12-19 Febbraio, racconterò la vicenda dello Yekatit 12 per immagini (visual storytelling dicono quelli bravi) nel cortile del Palazzo Comunale. Le tavole del mio fumetto saranno proiettate su un muro all’interno di Palazzo d’Accursio, proprio sulla lapide dedicata ai caduti bolognesi di Adua e Lafolé.
La citta di Bologna vuole ricordare ai posteri nella pietà e nella gloria gli ufficiali e i soldati bolognesi che nel MDCCCXCVI ad Adua e a Lafolé con eroica virtù combattendo diedero la vita memori e meritevoli della grande Italia.
Usare la lapide come un telo da proiezione significa capovolgere, anche solo per un istante, il senso di una targa pubblica molto problematica.
Commemora le battaglie di Adua e Lafolé come imprese gloriose, rende onore ai caduti italiani celebrandoli come eroi per una nobile causa. In realtà si trattò di azioni mirate a sottomettere altre popolazioni.
Ignora del tutto le vittime africane causate dalle nostre aggressioni (nel caso di Adua, tra quattro e settemila morti), persone che combatterono, loro sì, per un ideale giusto: difendersi dall’invasore.
Indica che la nazione abbia un destino imperalista da compiere
Il mio intervento è parte di un evento organizzato dalla Rete Yekatit 12-19 Febbraio, con il patrocinio del Comune di Bologna, in collaborazione con Attitudes Spazio alle Arti, Danza Urbana, Next Generation Italy, Andlay; inizia alle ore 18 davanti al Sacrario dei Partigiani di Piazza del Nettuno e prevede una performance artistica di Gabriella Ghermandi, l’esposizione di un manifesto con le foto di partigiani/e delle ex-colonie, e la deposizione di una corona da parte delle istituzioni cittadine per commemorare le vittime del colonialismo italiano. Tutti i dettagli a questo link.
L’iniziativa crea un legame simbolico tra la nostra Resistenza e quella dei paesi occupati dagli italiani. È un’associazione che può apparire insolita, eppure la lotta armata contro il fascismo non inizia l’8 settembre 1943. La Resistenza parte molto prima, in Libia, Etiopia, Jugoslavia e altri territori sotto occupazione. Una connessione importante che, a prima vista, potrebbe suggerire una sovrapposizione totale tra anticolonialismo e antifascismo. La realtà è più complessa.
Il colonialismo italiano non è delimitato nel ventennio fascista, prende avvio con i governi liberali alla fine dell’Ottocento e prosegue nel dopoguerra con l’Amministrazione Fiduciaria della Somalia (AFIS) fino al 1960. Su circa ottant’anni, solo una ventina sono di stampo fascista. Se poi allarghiamo il quadro all’Europa nel suo complesso, è evidente come il dominio coloniale sia un fattore caratteristico e predatorio delle grandi democrazie liberali.
Questo ci porta a riconoscere una verità scomoda: le peggiori atrocità - leggi razziali, segregazione, schiavitù, saccheggi, pulizia etnica, deportazioni, campi di concentramento, stragi di massa, genocidio - non sono un’esclusiva dei regimi totalitari, ma sono perpetrati sotto l’insegna di un sistema politico che si è sempre presentato come garante di libertà e diritti. Citando Aimée Cesaire, uno dei più importanti intellettuali anticolonialisti:
Vale la pena di svelare al distinto umanista cristiano borghese del XX secolo che custodisce in sé un Hitler nascosto, che Hitler abita in lui ed è il suo demone, che ciò che non perdona a Hitler non è il crimine come tale, ma il crimine contro l'uomo bianco, il fatto di aver applicato all'Europa metodi coloniali finora riservati agli arabi, ai coolies e ai negri.
In altre parole, il liberalismo non solo anticipa le mostruosità del nazifascismo, ma in molti casi le ispira. Non è un mistero che Hitler fosse un grande ammiratore dell’imperialismo britannico e che Churchill, prima di diventare l’eroe che ferma il mostro e salva il mondo dalla barbarie, fosse un mostro a sua volta, sostenitore di politiche terrificanti nei confronti di popolazioni che riteneva inferiori.
“Sono fortemente favorevole all’utilizzo del gas velenoso contro le tribù non civilizzate… Diffonderebbe un terrore vivace”. - Winston Churchill
Questa presa di coscienza ci mette a disagio, frantuma la rassicurante dicotomia a cui siamo abituati: da una parte democrazie liberali, portatrici del bene; dall’altra nazifascismo e totalitarismi, incarnazione del male. Il colonialismo non è una devianza del liberalismo, è un suo elemento strutturale, un laboratorio in cui si sono sperimentate tecniche di dominio, depredazione e annientamento che il nazifascismo ha ingegnerizzato e applicato in seguito, nel cuore dell’Europa.
Fatta questa precisazione, il colonialismo italiano ha una propria peculiarità eccezionale, non è positiva: è l’unico colonialismo a essere stato anche fascista. Agli orrori dei colonialismi liberali, l’Italia riesce ad aggiungere il carico dell’ideologia criminale, oppressiva e totalitaria del regime mussoliniano.
Alcuni esempi:
Nell’amministrazione dei territori occupati si elimina qualsiasi delega ai capi locali, si usa il pugno di ferro nella gestione del potere.
Si esportano i metodi squadristi già utilizzati in Italia: spedizioni punitive ed esecuzioni sommarie. In alcuni casi, all’esercito regolare si affianca la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, ovvero le camicie nere, ala militare del Partito Nazionale Fascista (PNF), nota per la sua brutalità.
La repressione della Resistenza locale avviene con ogni mezzo, in particolare applicando il principio di responsabilità collettiva con massacri indiscriminati della popolazione civile.
Si introducono leggi razziali formali, si vieta qualsiasi relazione tra italiani e nativi e il riconoscimento legale dei figli meticci.
L’occupazione italiana diventa un esperimento di colonialismo totalitario, non più solo amministrativa o economica, ma estensione diretta dell’ideologia fascista. Pertanto, durante il ventennio, nei paesi vittime della nostra oppressione - dalla Libia all’Etiopia, passando per Jugoslavia, Grecia, o Albania - la Resistenza può essere considerata a pieno titolo antifascista. Il legame tra i partigiani dei paesi occupati e quelli che combattono in Italia diventa evidente, un filo rosso che va riscoperto e riconosciuto.
L’Etiopia, tema del mio fumetto, è un caso specifico: se Eritrea, Somalia e Libia hanno conosciuto anche un dominio di tipo liberale, l’occupazione dell’impero di Haile Selassie è stata integralmente fascista. La guerra di invasione comincia nel 1935, quando il regime di Mussolini è al culmine della sua potenza; la Liberazione del paese avviene nel maggio 1941 nel pieno contesto della guerra mondiale contro l’Asse nazifascista. Il carattere fascista del dominio italiano era percepito chiaramente dalla popolazione locale; nelle mie ricerche, ho letto e sentito più volte gli etiopi identificare gli italiani come “fascisti”, senza tante distinzioni di sorta.
Questo è il motivo per cui il sottotitolo del mio fumetto recita: Il complotto dei partigiani etiopi contro l’occupazione fascista (e non genericamente italiana).
Yekatit 12 inizia proprio con la figura che incarna meglio di tutte le altre la connessione tra Resistenza antifascista e anticolonialismo: Ilio Barontini; sceglie di andare in Etiopia ad aiutare i partigiani del Corno d’Africa, detti arbegnocc, a combattere l’invasore.
È grazie alle ricerche su Barontini che ho approfondito il tema della Resistenza etiope e scoperto le storie dei protagonisti dello Yekatit 12: un gruppo di persone che, con un atto di straordinario coraggio, ha tentato di colpire al cuore l’invasore organizzando l’attentato contro Graziani. Questi arbegnocc possono essere considerati a tutti gli effetti parte della Resistenza antifascista internazionale, come i partigiani che hanno combattuto in Italia dopo l’8 settembre. Mercoledì 19 febbraio, nel Cortile del Comune di Bologna, racconterò la loro storia per quello che é: parte integrante dell’antifascismo.
Il giorno successivo, giovedì 20 febbraio ore 18, alla Biblioteca Cabral, c’è un incontro con con Valeria Deplano, una delle storiche italiane più autorevoli sul tema del colonialismo, autrice di Storia del Colonialismo Italiano, un testo fondamentale nel mio percorso di ricerca. L’incontro prevede un dibattito tra Valeria Deplano, Karin Pallaver, Toni Rovatti, moderato da Mariana E. Califano di Resistenze in Cirenaica.