Commemorare lo Yekatit 12
Una data per ricordare, tra Addis Abeba e Bologna, le vittime del colonialismo italiano e i partigiani che lo combatterono
Il 19 febbraio 1937 è la data che segna l’evento simbolo dei crimini compiuti dal colonialismo fascista, la strage di Addis Abeba, detta Yekatit 12 dal giorno del calendario etiope. Alcuni partigiani etiopi cercano di uccidere il tiranno che opprime il paese, il maresciallo Graziani. L’attentato fallisce. Come rappresaglia gli italiani massacrano in tre giorni tra i venti e i trentamila etiopi, per poi continuare nelle settimane successive a sterminare intere classi sociali: intellettuali, artisti di strada, monaci.
La ricostruzione più accurata dell’avvenimento è stata fatta dallo storico inglese Ian Campbell con il libro Il massacro di Addis Abeba, pubblicato in Italia da Rizzoli. L’opera di Campbell è talmente rigorosa e dettagliata da essere diventata il riferimento più autorevole per chiunque voglia occuparsi di questa vicenda, inclusi gli storici etiopi.
Ad Addis Abeba si commemora lo Yekatit 12 a partire dal 19 febbraio 1942, primo anno dopo la Liberazione e quinto anniversario della strage. In quella data si innalza un monumento alle vittime in piazza Siddist Kilo, dove ha avuto inizio l’eccidio.
L’obelisco viene poi sostituito nel 1955 da una nuova versione, molto più imponente, donata dal maresciallo Tito in visita ufficiale ad Addis Abeba.
Tito e Haile Selassie hanno idee politiche diverse ma condividono la stessa esperienza: i loro popoli hanno subito l’invasione fascista, combattuto un nemico comune e patito terribili atrocità (in alcuni casi compiute dagli stessi comandanti, come ad esempio il generale Alessandro Pirzio Biroli responsabile di crimini sia in Etiopia che in Montenegro).
L’opera presenta rilievi in bronzo realizzati da due dei più importanti scultori jugoslavi del tempo, Antun Augustinčić e Frano Kršinić. Le sculture raffigurano alcune scene della strage ed hanno un enorme potere evocativo. Sono una delle prime cose che ho provato a disegnare quando ho cominciato questo progetto.
Il monumento allo Yekatit 12 è il fulcro delle cerimonie che si tengono ogni anno il 19 febbraio ad Addis Abeba (c’è uno splendido servizio fotografico del Guardian sul memoriale del 2018). Il Martyr’s Day è organizzato dalla Associazione dei Patrioti Etiopi, laddove per “Patrioti” si intende un concetto molto specifico: i combattenti (arbegnuoc) che durante l’occupazione portarono avanti la guerriglia contro l’invasore, considerati veri e propri eroi nazionali.
Di seguito, la lettera dell’Associazione Patrioti a Ian Campbell dove invitano lo storico a partecipare alle commemorazioni di quest’anno, esprimendo grande ammirazione per il suo lavoro di ricerca e pubblicazione.
È molto penoso leggere che, tra le le attività per tenere viva la memoria dello Yekatit 12, i Patrioti si debbano occupare anche di un altro monumento: quello eretto in Italia (ad Affile) in onore al maresciallo Graziani.
Il mausoleo a Graziani, costruito nel 2012, oltre ad essere uno scandalo internazionale, è al centro di una serie di vicende giudiziarie. I Patrioti spiegano a Campbell che purtroppo la Corte di Appello ha ribaltato il provvedimento di demolizione, e che hanno sostenuto una manifestazione di protesta dell’ANPI.
Il documento è l’ennesima conferma che le iniziative dell’Italia sono osservate con attenzione dai paesi vittime delle nostre aggressioni. A maggior ragione, dovremmo cercare di muoverci per lenire le ferite che abbiamo causato, o quantomeno evitare di inasprirle, e stimolare una riflessione critica sulla nostra storia assumendoci le dovute responsabilità.
In questo senso, c’è un appello dello storico Angelo Del Boca, uno dei più importanti studiosi del’argomento, per istituire nella data del 19 febbraio una giornata in ricordo degli oltre 500.000 africani morti nel corso della nostra occupazione. Nel 2006 un gruppo di parlamentari lo ha trasformato in una proposta di legge, sul cui percorso tuttavia non ci sono aggiornamenti.
Dopodiché, ci sono preziose iniziative dal basso: la Federazione delle Resistenze lavora da anni sulla memoria anti-colonialista. Questo 19 febbraio, in occasione della ricorrenza dello Yekatit 12, si sono tenute svariate attività a Bologna, Padova, Milano, Reggio Emilia, Roma, Palermo.
A Bologna, Resistenze in Cirenaica ha organizzato un trekking urbano per affrontare luoghi e simboli legati al colonialismo. Ad ogni tappa, una persona saliva su uno scaletto e con un microfono raccontava una storia sul tema. Sono intervenuti scrittori come Wu Ming, Jadel Andreetto, Antar Mohamed.
È stata un’esperienza importante che mi ha permesso di fare una serie di scoperte sulla città in cui vivo, ad esempio:
Ai Giardini Margherita c’è la Gabbia dei Leoni, costruzione fascista degli anni 30 dove furono rinchiusi due leoncini catturati (o comprati) a Dire Dawa da due militari bolognesi. L’intento era simboleggiare in patria la cattura del Leone di Giuda, Haile Selassie (che peraltro non fu mai catturato)
Nel cortile del Comune c’è una targa dedicata ai caduti di Adua e di Lafolè (in base alla logica di celebrare i morti in quanto italiani, a prescindere da motivi storici e contesto)
L’attuale via Gramsci era via Dogali, per commemorare i 500 caduti di Dogali (vedi sopra)
Piazza Roosevelt era Piazza della Vittoria d’Etiopia (qui i caduti erano gli altri, quindi il discorso si inverte)
In via Marconi c’è Palazzo Faccetta Nera
In via Belle Arti c’è una targa commemorativa del rettore Alessandro Ghigi, autore nel 1937 di un pamphlet sulla difesa della razza (le passeggiate a Villa Ghigi da adesso in poi avranno un retrogusto amaro)
Dal Museo Zoologico si vede in cima ad un palazzo l’iscrizione Gondar, ultimo baluardo difeso dagli italiani in Etiopia prima della capitolazione finale nel 1941. La battaglia di Gondar fu mitizzata al grido di “Ritorneremo!” (spoiler: non siamo ritornati)
Di recente, il Comune di Bologna ha intitolato un giardinetto a Papa Benedetto XV, fermo oppositore delle due guerre mondiali, ma sostenitore dell’invasione italiana in Libia
Insomma, un itinerario che ha dimostrato come la relazione tra passato e presente della retorica coloniale condizioni tuttora il pensiero, il linguaggio, il dibattito pubblico, e come possiamo evolverci in modo più consapevole.
Il modo probabilmente migliore per commemorare lo Yekatit 12.
Per concludere, vorrei ringraziare di cuore Resistenze in Cirenaica per aver pubblicato un post che parla del mio lavoro, lo considero un grande incoraggiamento.